22 marzo 2006
La pagina di Amelia
04 marzo 2006
Il giorno degli gnocchi
Fuori una luce splendeva su tutto: il giardino, i balconi di fronte, le finestre chiuse. Nella cucina silenziosa, una figura si muoveva ansiosa: come fare, cosa fare, come dare significato ad un’esistenza noiosa. Le mani contratte ad artiglio nelle tasche mezze sfondate, lo sguardo perso di fronte agli sportelli verdi dei pensili: porte sigillate su mondi impossibili. Il professore cercava una via d’uscita, uno scopo.
Si ricordò della promessa e, trascurando di preparare lo schema della lezione del giorno dopo, si dedicò ad un’ attività manuale. Come sempre prevalse il bisogno di ricercare una guida sicura e la trovò, come ormai da tempo accadeva, non sui libri, ma su internet. Senza sapere che si metteva su una strada tracciata da altri e dunque pericolosa. Un chilo di patate e trecento grammi di farina. Sul frigorifero del balcone stava la retina con l’occorrente. Pesò accuratamente le patate alla bilancia elettronica : tre grosse e tre medie. Ne aggiunse una piccola, pensando allo scarto delle bucce. Riempì una pentola d’acqua e la mise sul fornello grande. Al solito, perse tempo per decidere quale manopola azionare. Contò fino a sette secondi, affinché la valvola di sicurezza desse il segnale all’accensione e rilasciò la manopola. Niente, i suoi secondi non corrispondevano a quelli del sistema automatico. Riprovò, contando fino a quattordici e finalmente le fiamme giallo- blu rimasero al loro posto. Mise la pentola sul fuoco con le patate dentro. “Chissà se si fa così o se dovevo aspettare che l’acqua bollisse” pensò. Avrebbe potuto chiederlo alla compagna della sua vita, ma dormiva e non volle disturbarla.
Pesò i trecento grammi di farina e attese che la cottura delle patate si concludesse, seduto in poltrona cliccando furiosamente il telecomando per mezz’ora. Pensava di non farsi catturare dalle pubblicità e dalle stupidaggini trasmesse. Non si accorgeva di essere stato ormai condizionato completamente e che il solo zapping era sufficiente a renderlo docile e insignificante. Finalmente pelò le patate bollenti , dopo averle scolate buttandole nel lavello. Si bruciava le dita e solo così si sentì vivo ed utile. Con lo schiacciapatate fece una collinetta di vermicelli morbidi e bianchi sul tavolo. Aggiunse la farina costruendo un picco innevato e impastò il tutto. Venne fuori una palla mollastra; ricavò dei cilindretti e col coltello preparò tanti piccoli gnocchi, passandoli uno per uno sui rebbi della forchetta. Aveva studiato bene il procedimento. Il pavimento si riempì di sbaffi bianchi e briciole di patate e anche i tre vassoi infarinati, col tempo, si riempirono di gnocchi. Era stanco ma soddisfatto, quella sera avrebbero avuto una pietanza speciale. La giornata proseguì pigramente e quando si avvicinò l’ora della cena, la moglie preparò un sugo di pomodoro, che profumava tutta la cucina. Il professore, orgoglioso dei suoi gnocchi, provò a staccarli dai vassoi ma…… quelli si sfacevano tra le dita, acquosi e appiccicosi. “Ma l’uovo ce l’hai messo?” sospirò la moglie.
“Nella ricetta non c’era!” rispose spazientito il professore, che riservava una fede totale nel mezzo informatico e nei suoi contenuti, dimenticando le variabili della natura. La donna intervenne con la sua pazienza e saggezza reale, aggiunse una quantità adatta di farina, l’uovo e confezionò dei veri gnocchi. Senza sbuffare ripulì tutto e, per la cena, diede al marito professore una lezione di ottimi gnocchi al pomodoro.Torna su
TORNA A ' IL MIO SITO '
01 marzo 2006
La professoressa Gagliano
La nostra professoressa più amata era quella di francese. Si chiamava Gagliano e si muoveva molto lentamente, per la sua mole notevole. Vestiva sempre di nero; era la vedova di un misterioso marito, molto amato e scomparso da tempo immemorabile.
Era molto anziana e sempre sorridente, un viso dolce e dei capelli biondo-bianchi forse tendenti al giallo dorato, radi. Braccia e busto sottili poggiavano sul resto immenso.
Una piramide nera come l’ardesia della lavagna al lato della cattedra, su cui si arrampicava come scalando una montagna. Tutti in piedi, come ci eravamo disposti al suo ingresso, osservavamo, nel più assoluto silenzio, il suo issarsi fin sulla pedana ed il successivo incastrarsi nella poltrona dagli ampi braccioli. L’ansimare si calmava e finalmente, ad un cenno bonario della piccola mano, tutti seduti. Adorava Théophile Gautier e ci faceva leggere “Il Capitan Fracassa” in aula ad alta voce. Qualche volta gradiva che lo recitassimo. Con lei avevamo tutti anche più del sei, voto che nelle altre materie del liceo classico che frequentavamo, era un sogno spesso irraggiungibile.
Il mio ricordo è legato al giorno in cui venne in aula con una pennellata gialla di uovo alla coque, ancora sul mento. Scoprimmo, che i nostri professori erano esseri umani con una vita ed una prima colazione. Non entravano dalla porta, esistendo ogni giorno per noi e la porta, all’uscita, non li inghiottiva in un nulla vuoto e popolato solo da professori e professoresse. Questo avveniva nei lontani anni cinquanta.
Torna su
TORNA A ' IL MIO SITO '